Evàn Lyeus
E sono perfettamente triste...perfettamente. Senti le mie mani...profumano di sangue, vino, hanno il profumo dolce del fico e quello acre dell'erba. Sanno di terra...in cui ho scavato...sanno di sale perché ho pianto...sanno di carne, ma solo della mia perché non c'è più nessuno nel mio letto...
C’è una strana maledizione su di me…perdo tutto quello che desidero.
Eppure mi chiameresti una creatura di desiderio, perché non c’è nulla che io non voglia, che io non pretenda con ferocia o con dolcezza.
Tuttavia appena allungo la mano…
Io non so.
Tutto in me finisce.
Ecco perché sono il Principe Nero, il Bastardo di Felsina, Cucciolo di Samhain, eppure nato a Beltane.
Sotto il Salice La Caccia Bianca La Rivolta del Bastardo La Torre dell’Ovest
Nacqui con il primo grido di mia Madre.
Prima di me Lei non sapeva cos’era il dolore.
Aveva avuto molti figli certo.
Ma erano nati come i fiori.
Io venivo da altrove.
Venivo dalla notte in cui Lei vide il Cervo Bianco e lo desiderò.
Suvvia, non era la prima dea né la prima regina ad aver desiderato la monta di un animale…Pasifae, Leda…qualcuno dice che persino Demetra avesse accolto Zeus mutato in serpente e da lui avesse generato quella matta di Persephone (mi permetto di darle della matta perché in fondo Demetra era forse un altro nome di mia madre, e lei, Persephone dico, qui da noi si faceva chiamare Auxesia e passava il suo tempo ad intrecciare corone virginali e a consacrarsi ai misteri…prima della tresca con Hades, intendo…ma non è questa la sede per diffondere pettegolezzi sulla Famiglia…)
SOTTO IL SALICE
Mia Madre era dunque Damia, la Signora delle Colline.
La Regina delle Fate.
E mio Padre era un Cervo Bianco.
Senza Nome.
Quando nacqui le donne velate di nero che sempre accompagnavano mia Madre urlarono con voce di corvo
"Evàn Lyeus"
e da allora è così che mi chiamano le mie Baccanti
Evàn Evàn Evàn
Lyeus
" Ecco viene colui che mi scioglie"
FIGO.
Nacqui d’argento.
Ero un cucciolo, poco più di un cerbiatto.
So che Northia e le sue streghe cantarono il Fato per me, perché ero figlio di una Regina, un Signore delle Fate, e, a differenza di tutti i plebei, a noi non è concessa scelta.
Ci viene imposto UN DESTINO.
Il mio doveva essere certo orribile, perché mia Madre pianse.
L’avrei fatta piangere altre due volte prima che se ne andasse da queste terre.
TRE è il numero PERFETTO.
IO NON SONO MAI STATO PERFETTO.
Da piccolo stavo con una specie di folletto, un coniglietto, poi mia Madre cambiò gusti di letto e si mise con un guerriero che veniva dal Nord, aveva la pelle blu, le corna e puzzava di cinghiale. Anche lui aveva amato molto gli animali in gioventù e si portava appresso le sue figlie lupe.
Ragazze strane, con i capelli color fiamma e zanne enormi.
Da piccolo mi avrebbero mangiato volentieri.
Ecco perché decisi di diventare un cacciatore.
E così mia Madre mi donò l’oggetto più raro e potente dei suoi tesori: un magnifico arco d’ambra, istoriato di grandi incanti.
Poi pensai di diventare stregone (anche le fate adolescenti hanno i loro ripensamenti)
E così mia Madre mi affidò alla donna velata di nero che si faceva chiamare
Tanachvil.Perché mi insegnasse il vero nome delle cose, la legge del TRE, i sacri misteri.
E tante cose che non avrei MAI dovuto fare.
(molti sussurreranno poi che proprio a quei giorni, solo con la Strega di Felsina, nascosti tra le canne o i rami dei Salici che scorrevano lungo il Suo torrente, si debba far risalire la mia rovina, ma la Storia li avrebbe poi sbugiardati…
…e del resto non veniva forse lei dal cerchio di Northia, l’impassibile compagna di mia Madre, che si permetteva di fare le veci del Destino in mezzo alla mia Corte solo perché era cieca e un po’stronza?)
POI VENNE IL GIORNO IN CUI DECISI DI UCCIDERE MIO PADRE.
Sapevo di essere
IL MIGLIORE CACCIATORE
che avesse mai attraversato i verdi colli,
vestito di ombre di luna, silenzioso come la notte, occhio spietato e mani veloci.
Sapevo di essere
IL MIGLIORE INCANTATORE
che avesse mai danzato in cerchio nel plenilunio,
intrecciando rune luminose nel buio, amato e vezzeggiato da tutti i Vecchi Poteri.
Quando guardavo mia Madre vedevo però nei suoi occhi il dolore del mio parto e la voglia mai sopita per quella bestia dal manto di neve.
Mi amava un po’ per rimorso e un po’ per rimpianto.
Allora non sapevo niente dell’amore e perciò mi ritenni offeso.
Altrimenti…
…ma il FATO era già stato cantato…
Quando entrai nella sala del Trono Northia e le sue vestali erano già schierate come ombre lugubri alle spalle della Regina pronte a scagliare su di me la loro maledizione.
Lei mi guardava con i suoi occhi d’oro e mi chiese d’abbracciarla.
Ricordo distintamente che aveva il seno chiazzato di vino e le labbra rosse di baci presi a casaccio tra quanti affollavano la Corte, girando in balli e bevendo.
"Vado a caccia"
Avevo l’arco d’ambra.
Ero scalzo e nudo.
Con me solo pochissimi compagni, quelli che, tra i miei cacciatori, avevano deciso di sfidare le maledizioni di Northia per seguirmi in quella folle impresa.
Neppure li ringraziai.
Come ho già detto all’epoca non capivo niente dell’amore.
Voltai le spalle a mia Madre
Voltai le spalle al canto funesto che saliva dalle gole delle sue vestali
Voltai le spalle all’argento della mia giovinezza
Per una stramba ironia quello che ne seguì fu chiamato
Per me un buco bianco.
Nella testa.
Solo bianco.
Non ricordo altro.
Solo una delle mie cacciatrici tornò a Corte.
Era ferita e stanca.
Sporca di fango e sangue raggrumato.
Portava con sé il corpo del Principe Evàn.
Morto.
Una possente zoccolata del Grande Cervo lo aveva colpito sulla fronte e aveva spezzato una delle sue corna.
Eggià, le corna.
In fondo era la cosa che ci rendeva più simili.
Il mio paparino candido come la neve e il nero principino della Corte Scontenta…
Quando mia Madre vide il mio corpo
PIANSE.
Era la seconda volta dall’inizio delle cose.
E fu il suo pianto a strapparmi alla MORTE.
(…che da allora ha conservato un certo debole per me…)
Tornai alla luce.
Anzi alle tenebre, perché da allora non fui più lo stesso.
Nessuno ama parlare di quella storia.
So che la mia antica amica, l’unica vera superstite alla Caccia Bianca, mi abbandonò.
Io non cacciai più nella luce chiara della luna piena e abbandonai per sempre i lieti cerchi di danza e i festini dorati di mia Madre. Disdegnavo il giorno, schiacciavo i boccioli. Non avevo più amore per ciò che inizia, volgevo la mia mente solo alla rovina.
Restai solo ad esplorare un nuovo mondo di inverni lunghissimi, rami neri, ghiaccio e neve, vino e sangue.
Fu allora che assaggiai per la prima volta la carne dei mortali e la trovai…
…deliziosa…
Scavai nel profondo delle colline, all’ombra del trono di mia Madre e vi creai un regno di perdizione spavento e brame.
In Xanadu did Kubla Khan
A stately pleasure dome decree…
Lo chiamavano
COLLECAVO
E solo le Fate Oscure amavano avventurarsi nei suoi budelli, in tortuose trappole di radici e roccia per venire a giacere nei miei letti, bere alle mie labbra, mangiare alla mia tavola.
Chiunque scendeva nel mio cuore nero ne emergeva irrimediabilmente mutato, perché nessuno può guardare il cuore della notte e restare per sempre simile a se stesso.
Io studiavo il buio e i suoi segreti, affondavo nella follia e ne svelavo al mondo la gloria.
Fui chiamato
PAZZO
NERO BASTARDO
PRINCIPE SENZAunCORNO
e chi intrecciava la sua sorte con me restava per sempre macchiato.
Ma i mortali ci temevano e ci chiamavano con i nomi degli Dei, sacrificavano sui miei altari avvinti d’edera e la notte ci
sognavano
.Donne con la pelle di luna e labbra piene di sangue, uomini neri come la paura e labbra piene di voglie, creature fornite di corna possenti ritorte, di denti affilati come i coltelli, di occhi verdi come il veleno come i gioielli, di mani sapienti delle cose che fanno paura delle cose che fanno godere.
CI DESIDERAVANO PUR AVENDO PAURA.
Da allora i mortali non hanno più smesso.
Desiderano le Fate.
Temono le Fate.
…FANNO BENE…
Comunque arrivarono a costruire le loro case ai piedi dei nostri colli cavi, violavano le foreste e le cime dei monti a noi consacrati, mangiavano la nostra selvaggina, davano fuoco ai nostri alberi, disegnavano nell’aria strani segni per tenerci lontani, mettevano il ferro sulla porta o sulla culla degli infanti.
Frequentando quelli del Piccolo Popolo che non avevano ritegno a mescolarsi a loro (…e a lasciarli poi in vita, intendo…) cominciarono persino a rubarci uno o due segreti.
Mia Madre continuava però ad essere contenta.
Le donne mortali celebravano i suoi misteri sotto la luna e uccidevano qualsiasi maschio osasse spiarle.
Su questo Damia fu intransigente.
Ma a dispetto delle cattiverie raccontate sul mio conto non fu per questo motivo che decisi di ucciderla.
La sua estate senza fine era divenuta ai miei occhi una menzogna, così come la mia tristezza era per loro un’offesa.
Così raccolsi intorno a me coloro che fremono nell’ombra, le genti che volano sulle ali della notte, che hanno cuore di ghiaccio o di cuori non ne hanno punto. Suscitai la loro delusione e la mutai in furia, solleticai le loro voglie e le feci diventare ossessioni, presi le loro paure e li costrinsi a diventare incubi.
Bevvero il mio sangue e fummo una cosa sola:
IL PATTO DEGLI SCONTENTI
ovvero
Quando le fate si preparano a una guerra diventano subito personcine meticolose ed accurate, lucidano le armature fino a fare splendere come carapaci, inseguono tutte le farfalle per strappar loro le ali o si arrampicano nei nidi per scovare le piume più belle: nessuna oserebbe presentarsi con un pennacchio in disordine. Passano giorni e giorni a dipingersi il blasone e il Gran Maestro delle Tradizioni Araldiche è sempre molto impegnato perché ciascuna rivendica per sé le pezze più nobili o i colori più preziosi. Approntano poi le loro armi con scrupolo estremo. Affilano le spade finché non sono taglienti come i loro denti, intingono la punta delle lance nel veleno delle serpi e degli scorpioni perché il nemico trafitto non si rialzi in fretta, incantano le frecce nella faretra insegnando a ciascheduna il nome del nemico che dovranno infallibilmente colpire. Hanno poi una cura maniacale per i loro cavalli, che vengono bardati di tela di ragno e sellati d’argento, e i loro mastini, che vengono affamati fino alla battaglia. Quando finalmente il giorno prefissato arriva combattono senza sosta fino a sera, poi, appena tramonta il sole, le ferite si chiudono, i caduti si rialzano e si va tutti insieme a banchettare …
…NON SONO "COSììì CARiiiNE"???
MA quando mi levai contro mia madre la TERRA bevve il sangue degli DEI.
Il Patto degli Scontenti calò da Ovest, avvolto in bruma e tenebra. Da Est gli si contrapposero le schiere della Regina dei Colli.
Ovviamente si erano messi tutti dalla sua parte.
Ma ero io il SIGNORE DELLA FRENESIA, o no?
Vidi avanzare un cavaliere solitario dalle file nemiche, portava le insegne splendenti del messaggero e voleva certo trattare la pace tra la Regina e il Suo Bambino Nero: riconobbi subito le forme della mia antica unica amica, la cacciatrice che mi aveva salvato dalla furia di mio padre e tra mille insidie aveva riportato le mie spoglie al grembo di mia madre: la trafissi alla gola con una freccia. Vigliacchi, i Seelie, colpirmi subito nei miei affetti…
Quando afferrai per i capelli la sua testa mozzata la feci roteare in aria tre volte: fu il segno.
Piovve sangue sul campo di battaglia, ed era nostro, ed era loro, lo accogliemmo nelle fauci spalancate come fosse vino, ululando il nome di Evàn e chiamando la Furia…vidi donne agitare serpenti e torce nei pugni e avventarsi sulla carne dei loro vecchi amanti, dei loro giovani figli guerrieri, con i denti…vidi orrori artigliati levarsi dalle buche della terra e trascinarvi schiere di eleganti cavalieri…l’Orda strideva volando nell’aria piena di fumo scagliando il Dardo Degli Elfi … io colpivo i miei nemici dall’alto del Colle mirando con l’Arco d’Ambra ai loro occhi, ai loro cuori…
Nemmeno il Patrigno con la sua sozza discendenza di lupi, nemmeno Northia e le sue streghe velate riuscirono a opporsi a noi.
Con gioia sconfiggevo il mio FATO.
Perché accanto a me quel giorno c’era IL NERO URLANTE, colui che mi divora e divorandomi mi concede di essere libero.
Lo avevo incontrato durante la caccia bianca, in terre lontane dagli occhi d’oro di mia madre. Lì lei lo aveva relegato, padre degli orrori, sovrano delle paure, colui che con il suo nero era il più degno riflesso allo splendore della sua potenza. E qui io ero arrivato come un figlio rapito rientra nella casa del padre. Come un amante abbandonato arranca nell’abbraccio mai dimenticato e di nuovo finalmente concesso. Come una parte torna al tutto. E fui tutto e poi di nuovo Evàn. Il resto sia in eterno un mistero. Ma io e lui fummo per un istante una cosa sola. E quando tornai in me seppi che potevo ignorare il canto delle sorelle fatali ed essere finalmente me stesso.
NON SENZA AVERNE PAGATO IL PREZZO.
Ma il FATO non si ritenne soddisfatto.
Ricordo solo un dolore lanciante, improvviso, alla tempia destra, proprio là dove lo zoccolo del Cervo aveva spezzato il mio corno. Non capivo perché facesse così dannatamente male: nessuno mia aveva colpito, nessuno poteva farlo.
Poi, sotto gli occhi esterrefatti del Patto degli Scontenti, presi fuoco.
Northia, la cieca custode di ciò che deve essere, aveva raccolto quel mio piccolo corno caduto, e per oscuri eoni lo aveva custodito in seno. Ora lo aveva levato sul braciere e con le sue vestali si apprestava a incenerirmi.
UNA VOLTA INSIEME, PER SEMPRE INSIEME.
Sfrigolando la mia carne si scioglieva sulle ossa, mentre dalle tempie una larga ferita si allargava aprendomi un sorriso di carbone nel cranio. Il bulbo oculare si squagliò come grasso sulla pietra rovente, le labbra si arricciarono e le gengive raggrinzivano mentre il fuoco scorreva come lava giù per la gola e più giù, più giù, fino al cuore. A quella vista le mie schiere si dispersero e mia Madre, Damia Signora dei Colli, ne approfittò per lanciare su di loro la più terribile delle maledizioni: come tutti gli altri dei invidiosi e gentili, non potendo distruggere ciò che la minacciava, li costrinse a mutare forma. Ricordi Atteone, Niobe, Callisto, Leucosia, Ligeia e Partenope, la bella Scylla e la miserevole Ecuba…caduti nell’invidia di dei belli e contenti, con gli occhi d’oro e un eterno sorriso sulle labbra. Divennero sasso, bestia, uccello, fiore, rupe, arbusto, fonte o ruscello. Mutarono tutti e così la guerra finì.
Poi mia Madre mi raccolse e per la terza e ultima volta pianse per me.
Tornai di nuovo dalle Terre dei Morti ( goodbye Persephone), ma questa volta Northia non permise che rimanessi libero. E la Regina dei Colli, che per molte volte se ne era infischiata del Fato, fu costretta infine a piegare il capo dinanzi a ciò che è ineluttabile.
Fui portato a Ovest, dove venne eretta una Torre che fu per me Prigione.
Incatenato nel buio avrei atteso fino a…chi poteva sospettare allora…anche solo prevedere…ma forse la mia Rivolta non era stata altro che il primo monito dell’inverno. Quell’inverno che sarebbe sceso sull’estate di mia madre.
Anche lei ora sapeva che ogni cosa può finire.
Nel ventre del Nero Urlante io l’avevo già capito e mai più dimenticato.
Damia però non volle lasciarmi solo: e così Northia fu costretta a rinunciare alle sue consorelle, che divennero mie custodi e compagne.
Alla Tredicesima delle Vestali, Tanachvil, furono consegnate le chiavi delle mie catene. Ed allora lei e io siamo vittime della medesima maledizione…
…perché fu detto "Tu Lo Custodirai In Eterno", ed è quello che lei ha fatto, da allora e per sempre…
Nella Torre dell’Ovest ho picchiato la testa contro i sassi, ho sbavato sulle pietre, ho sanguinato per notti intere e pianto tanto. Ho urlato il mio nome, ho chiamato i Vecchi Poteri. Niente. Inascoltato e solo potevo aggrapparmi alla mia carne come unico rifugio dal dolore. Lavai con le lacrime la mia pazzia, la resi lucida e perfetta. Ne distillai una assoluta e invincibile tristezza. Usavo i miei sentimenti come balocchi, sperimentavo ogni ossessione, ogni segreta brutale pulsione. E intanto imparavo a riconoscere il mistero.
Avevo il cuore avvelenato.
Ma sapevo che potevo essere guarito.
E liberato, forse.
Ero come una crisalide che aspettava il tempo della sua primavera.
Ero un seme di sogno che aspettava di essere dischiuso.
Ero desiderio sepolto.
…
Passarono i tempi, vennero giorni amari, svanivano i poteri delle Fate.
Rimanemmo soli, Io e Tanachvil
…
E poi IO
…
ora ho atteso abbastanza:
SOGNAMI
…e grida tre volte il nome del Principe delle Fate…